Il mondo dell’osteopatia è un mondo assai variegato ed è perciò che cercherò di chiarire alcuni dei suoi aspetti incomprensibili per i non addetti ai lavori.
A qualcuno di voi sarà già capitato di aver usufruito dei servizi dell’osteopata o magari di più osteopati in periodi diversi della propria vita. Potrebbe esservi successo di aver notato piccole o a volte grandi differenze nell’approccio del professionista, nella raccolta dati, test e trattamento. Alcuni approcci sono più facili da comprendere perché più “fisici”, altri più incomprensibili perché più leggeri al tocco e “statici” nell’esecuzione, talmente statici che avrete probabilmente pensato: “ma… si sarà mica addormentato?”.
In realtà nessuno di questi è sbagliato o giusto o migliore di un altro. Lo sbaglio può al massimo essere imputato alla scelta della metodologia, dello “strumento” meno adeguata rispetto al problema che il paziente presenta. Per trovare una analogia, se provassi a svitare una vite con un martello potrei avere qualche problema nell’ottenere il risultato aspettato… o magari potrei proprio non riuscire a svitare nulla.
Il ventaglio di tecniche e metodiche che si sono sviluppate nel tempo, da quando l’osteopatia è nata, è veramente enorme. Body-Adjustment, viscerale, cranio-sacrale, fasciale, strutturale, bio-dinamica, strain-counterstrain, ecc., sono alcune delle tecniche che nel tempo si sono sviluppate, molto diverse le une dalle altre.
Diventa perciò naturale per il professionista sposare quelle metodologie che sono più affini al proprio background formativo ed alla propria forma mentis, insomma con le quale si sente più a proprio agio.
Questo da una parte consente al professionista di poter ottenere il massimo da quella metodica, cosa che probabilmente non avverrebbe se provasse ad usare altri approcci a lui non congeniali, ma dall’altra può portare a delle limitazioni nella gestione delle svariate problematiche che si presentano in studio.
Come nell’esempio visto poco sopra, del martello usato per svitare una vite, non sempre una tecnica risulta efficace o applicabile su tutti i pazienti o in tutte le situazioni. Possono dilungarsi eccessivamente i tempi di trattamento ostinandosi su un dato approccio o possono non ottenersi per niente i risultati sperati, con frustrazione del terapista e poca soddisfazione da parte del paziente.
Escludendo i casi nei quali i risultati non arrivano a causa di problemi di fondo di altro genere, i quali creano un vero e proprio impedimento, come gravi turbe psichiche, gravi patologie o altro, il terapista dovrebbe essere in grado di capire che quell’approccio non è sufficientemente efficace in quella specifica situazione.
A questo punto rimangono due strade:
Nel primo caso spesso entra in gioco una sorta di orgoglio da parte del professionista; inviare un paziente ad un collega sul quale non si è riusciti ad ottenere risultati può bruciare. Bisogna tener conto che l’obiettivo principale è il bene del paziente, riconoscere una propria incapacità tecnica in una data situazione non è una sconfitta è semplicemente saper riconoscere i propri limiti del momento. In realtà è un bene per il professionista, serve per individuare punti deboli sui quali lavorare per colmare la mancanza (laddove è possibile) ed in realtà si sta dando un servizio al paziente inviandolo in maniera mirata da un collega con le competenze adeguate alla situazione.
Il secondo caso invece spesso diventa difficile nella sua realizzazione per la ragione suddetta, molti terapisti tendono a sposare metodiche più affine a loro, tralasciando o a volte snobbando totalmente altre. Questa mancanza di apertura e conoscenza a 360° delle diverse metodologie esistenti crea dei limiti nella capacita di problem-solving.
In alcuni ambiti si creano proprio degli atteggiamenti “settari”, di chiusura e a volte di guerra fredda tra le varie posizioni.
Ritengo che il bene maggiore del paziente alla fine nasca anche dal dialogo tra i professionisti, non solo come colleghi stretti nel termine, cioè osteopati con osteopati, ma anche tra colleghi in generale, tra professionisti della salute, dai medici ai massofisioterapisti, chiropratici e osteopati, ecc.
La crescita ed il bene comune nasce sempre dal dialogo, dallo scambio di conoscenze ed informazioni, senza preconcetti. Si deve essere aperti, ciò significa saper mollare quando una cosa non funziona e saper sfruttare quando invece da i suoi frutti.
A volte non sempre si riesce a capire perché un approccio funziona o non funziona, ma noi siamo clinici, poco ci importa, a noi importa il risultato, sarà compito dei ricercatori spiegarne i meccanismi.
L’osteopatia è bella e varia, a volte “fantaghimerica”, ma funziona, i risultati ci sono, i pazienti sono soddisfatti.
Come professionisti abbiamo il dovere cercare di conoscerla tutta (o quasi…), poi, naturalmente, si continuerà ad utilizzare i propri “strumenti” preferiti per lavorare, ma come si dice, più frecce si hanno nella propria faretra, più si ha possibilità di cavarsela nelle situazioni più disparate.
Sono sempre stato propenso verso la collaborazione e verso la conoscenza anche di altre metodiche.
Considero sempre le divisioni tra le varie professioni (osteopati, chiropratici, terapisti manuali, fisioterapisti, ecc.) come mere divisioni accademiche. Alla fine nel trattare il paziente siamo tutti terapisti e spesso, con l’andare avanti degli anni di pratica, le tecniche, le conoscenze si mischiano, si fondono, si amalgamano a tal punto che diventa difficile distinguere una disciplina dall’altra. Ci sono degli ambiti di competenze che appartengono a tutti (tolte ovviamente quelle competenze specifiche di ciascuna professione), quello deve essere l’Agorà dei “terapisti”, dove ci si scambia conoscenze informazioni, si imparano nuove cose, si cresce.
Buona osteopatia a tutti!!!
Buongiorno!
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